Se queste pene efferate raramente si applicavano ciò si deve alla mitezza dei costumi che correggeva in qualche modo la ferocia delle leggi. Tali erano i primi benefizi che Vittorio Emanuele largiva al suo popolo! Questo principe debole, solito dire che aveva dormito quindicianni (il tempo della occupazione francese), odiava sino alla frenesia tutto ciò che sapesse di Francia. Così per darne un esempio, sul principio del suo regno si agitò la questione se dovesse essere distrutto il magnifico ponte edificato da Napoleone sul Po, e fu nominata una Commissione per vedere se fosse possibile cancellar dalle monete, senza però danneggiarle, l'effigie dell'Usurpatore. Un povero scrivano della tesoreria fu licenziato per avere scritto un r così alla francese, invece di r.
L'arbitrio ed il favore avevano invaso il santuario della giustizia, e non di rado accadeva che una sentenza legalmente pronunziata fosse cancellata da un decreto reale o lettera di grazia. Talvolta il re evocando a sé una causa fra privati, ordinava ad altro tribunale di giudicarla di nuovo senza riguardo alcuno alla decisione precedente. Tal altra si dava facoltà ad alcuno di produrre una prova o di fare eccezione contro al disposto della legge. In altre occasioni la causa era rimandata allo stesso tribunale per un nuovo giudizio. È facile comprendere quanto questo costume di annullare sentenze di già pronunziate nuocesse al corso della giustizia e al credito dei magistrati.
Alcuni dei fatti, precedentemente riferiti in queste memorie, possono aver dato al lettore qualche idea del rispetto che si aveva della libertà individuale.
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