Un mio cugino s'era ammogliato di fresco, e la vista dei giovani sposi il giorno delle nozze aveva operato in me un improvviso cambiamento. Quei due giovani mi parevano così belli, così felici, così innamorati l'uno dell'altro, che io ero costretto ad invidiarli. Non desideravo, no, d'essere nella condizione del mio cugino Pietro, ma solo d'essere amato quanto lui. Doveva essere una grande felicità amare ed essere riamato. La vita intrecciata così doveva raddoppiare il piacere della esistenza.
Il parroco di San Secondo spesso veniva a passar la serata in casa nostra, e noi qualche volta andavamo da lui. Sebben sui sessantacinque anni, godeva ancora i vantaggi della giovinezza. Era d'una semplicità patriarcale, mezzo prete e mezzo contadino. Invece di lunghi sermoni, faceva ai suoi parrocchiani delle strade, restaurava il ponte, segava il fieno e mieteva il grano per chi fosse ammalato.
Molto spesso trovavamo in canonica un altro parroco di un vicino villaggio, amico intimo del nostro curato, un vecchio corpulento, un asmatico ex frate, che pareva dovesse essere da un giorno all'altro soffocato dall'adipe. La conversazione non di rado cadeva sulla politica: i due preti erano liberali e non si facevano scrupolo di dir male del Governo.
L'ex frate era il più violento. Al tempo dei Francesi era stato ascritto ai Liberi Muratori, e se ne teneva: detestava in generale tutte le fraterie, ma specialmente l'Ordine a cui era appartenuto. La sua politica si compendiava in queste parole, che non rifiniva mai di ripetere: "Impiccate tutti i frati!
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