Non potevo cacciarmi dagli occhi quei due disgraziati r, che mi perseguitavano perfino nei sogni trasmutandosi in ogni maniera di forme fantastiche e svolazzando intorno a me come folletti.
La mattina seguente il mio primo pensiero fu naturalmente l'appuntamento del dopopranzo, e siccome non me la sentivo di passeggiare solo in cerca della mia sconosciuta beltà, pensai di prendere con me Alfredo, sapendo di poterlo fare senza metterlo a parte del mio segreto, che avevo deliberato di non confidare ad alcuno. M'era certamente grave avere un segreto per i miei intimi amici; ma era il primo e mi era stata raccomandata con tanto calore la discretezza, che non potevo non sentirmi obbligato ad osservarla.
Sicché andai da Alfredo e gli dissi semplicemente che venisse con me a fare una passeggiata dopo pranzo e mi aspettasse in casa.
Dicono che tra due amici uno è sempre la vittima. Questo può esser vero, inquantoché tra i due c'è sempre uno che si lascia menare dall'altro. Sotto questo rispetto Alfredo poteva dirsi la mia vittima. Egli non soleva mai chiedermi dove andassimo, perché prendessimo una direzione piuttosto che un'altra, o quanto tempo ci saremmo fermati, e simili cose; ma lasciava sempre fare a me. Erano appena le tre quando fui da lui.
Mi ero vestito in un modo semplice ma irreprensibile: il cappello, oggetto importante per me, mi stava d'incanto, e dava rilievo ai miei neri riccioli. Una camelia bianca, grande abbastanza per essere veduta da lontano, adornava il mio occhiello.
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Alfredo Alfredo Alfredo
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