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      Nossignore! Non doveva essere così: il mio orologio e quello della chiesa andavano male. Pestava i suoi piccoli piedi e giurava che non sarebbe venuta mai più. Queste parole mi punsero sul vivo. "Signora Marchesa", dissi freddamente (ella odiava, da zelante liberale i titoli, e non poteva soffrire d'essere chiamata marchesa), "fate come vi piace"; e me ne andai. È giusto però dire che essa, dopo questi piccoli screzi, era sempre la prima ad abbozzare, e innalzando bandiera bianca, a chiedere la pace.
      Lilla era una cara creaturina, ma un po' guastata, ed aveva giudizio fermezza ed esperienza quanto un bambino. Alle volte voleva che le insegnassi a fumare; alle volte desiderava che ne facessi un Carbonaro. Ogni momento aveva qualche nuovo capriccio, qualche nuovo sorriso o moina; ma in tutti i suoi modi c'era realmente tanta grazia e un che di sì fanciullesco che era difficile andare in collera. Non aveva ancora vent'anni, e, naturalmente, amava gli abbigliamenti, il ballo e i piaceri. Secondo il mio gusto, le andavano troppo a genio i colori smaglianti e vistosi, e dalla confessione che ella stessa ingenuamente mi faceva dei propri successi nelle conversazioni, mi ero pienamente accorto che poteva essere felicissima, anche lontana da me, dovunque sapesse che avrebbe potuto fare una gran figura. Il modo che teneva con me, dopo i primi due o tre abboccamenti, era piuttosto quella di una sorella con un fratello che di un'amante col suo innamorato: tanto era franca e senza ritegno.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





Marchesa Carbonaro