Nonostante ciò, questo mi dava fastidio.
Una mattina andai da Fantasio, e non lo trovai in casa. Sebbene non ci fosse, entrai per aspettare. C'era appunto allora un po' di sole: presi una seggiola e andai a godermelo sul terrazzino. M'ero appena messo a sedere, quando sentii suonare il campanello della porta e udii il riso sgangherato di un certo Beltoni, che discorreva con un altro dei nostri compagni. Quella mattina avevo le paturne, e non ero per nulla disposto ad affrontare l'eterno cicalio del Beltoni. Così tirai a me una delle persiane e vi rimasi nascosto dietro.
Il Beltoni, più noto fra noi col soprannome di Sanguisuga, messogli dall'umore caustico di Fantasio, era un ragazzone di venticinque anni, alto e corpacciuto, il solo della nostra brigata che fosse realmente e pienamente felice. Io non conobbi mai uomo più soddisfatto di sé stesso e con meno ragione di esserlo. Grasso, tondo e roseo, come un porcellino di latte lessato, s'era fatto in capo d'essere un vero Antinoo. Portava alla camicia un enorme colletto intirizzito, un cappello di foggia incredibile, abiti striminziti per un fusto della sua circonferenza: eppure si credeva un figurino. Ciarlava molto, si compiaceva del suo spirito e prendeva per grandi complimenti le più vistose corbellature. Tutte le donne, a sentirlo, erano innamorate di lui: ne parlava senza un riguardo al mondo, e si vantava sempre d'imprese galanti. E forse ne aveva: era tanto sfacciato da averne. Con ciò non voglio dire che fosse cattivo; non lo crederei: ma ch'egli fosse affettato, volgare, ordinario e senza alcun nobile sentimento, questo è per me fuori di ogni dubbio.
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