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Io non so dire come passassi quella giornata: ero in uno stato d'agitazione che s'avvicinava alla frenesia. Verso sera ebbi un po' di calma. Ero risoluto di romperla affatto con Lilla. "Ma lei non dovrà sapere il perché; sì le scriverò tutto quello che ho nel cuore". Mi posi all'opera; ma non mi riuscì di concludere nulla. Allora mi distesi, così vestito com'ero, sul letto e mi addormentai. Dopo un certo tempo mi destai e mi sentii più sollevato. Il sangue non mi bolliva più; potevo dunque considerare il caso a mente fredda. I giudizi di Beltoni, o meglio le sue vili illusioni, certamente dovevano essere esagerate: tuttavia era manifesto che lei lo aveva incoraggiato, che aveva fatto fino a un certo punto la civetta con lui. Questo era per me di sopravvanzo. "Dunque rompiamola subito". Siccome mi trovavo in una disposizione d'animo che mi permetteva di scrivere, mi posi a tavolino e cominciai.
Consumai la maggior parte della notte nello scrivere e nel bruciare quello che avevo scritto. Non potei finire una lettera. Una era troppo gentile, un'altra troppo dura; una terza mi soddisfava di più, ma era troppo lunga. "A che pro tante spiegazioni? Tre righe debbono bastare. Così: - Il caso ha voluto che anch'io conoscessi un vostro segreto. Voi amate un altro: su ciò non ho nulla da ridire; il cuore non dipende dalla volontà. Avrei il diritto di rimproverarvi di aver fatto con me due parti in commedia. Ma a che pro? Addio: siate felice. Vi mando le vostre lettere e i vostri ricordi d'amore.
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Lilla Beltoni
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