L'idea che ella avesse potuto compiacersi di mettere in mostra le sue grazie giovanili per far piacere ad un altro, toglieva loro ogni attrattiva, ed in certi momenti me le rendeva quasi odiose. In una parola, ero geloso, e per conseguenza in quello stato di allucinazione mentale, che è il sintomo caratteristico di così strana malattia. Una specie di colpo di fulmine venne a liberarmi da tale stato.
Una notte, verso le dodici, mentre andavo a letto, sentii una voce di fuori chiamarmi più volte a nome. Apersi la finestra e domandai chi fosse. "Sono io" rispose lo zio Giovanni; "scendete ad aprirmi, e non fate rumore; ho da parlarvi". Rimasi molto meravigliato come mai a quell'ora così tarda potesse essere lo zio Giovanni, che soleva impreteribilmente andare a letto alle dieci. Scesi adunque non senza qualche ansietà e apersi.
Che c'è di nuovo, zio?
. Egli non rispose; ma presami la lucerna di mano, si diresse verso il mio studio, e quando fu entrato cominciò a passeggiare su e giù per la stanza, come una bestia feroce nella sua gabbia. Allora soltanto mi accorsi come egli fosse sommamente agitato.
Ma, dunque, che cosa è stato, mio caro zio?
ripetei.
Questa domanda parve rompere quell'incantesimo che lo teneva muto.
Che cosa è stato? Che cosa è stato, eh!
gridò egli.
Lo saprete fra poco e a vostre spese. Non ve lo avevo io detto che scherzando col fuoco vi sareste bruciato? Non vi avevo detto che tutto quello che avreste potuto fare era di inciampare nella forca? Nient'altro, nient'altro, nient'altro che questo!
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Giovanni Giovanni
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