Egli era disposto, dispostissimo a venire in aiuto dei confratelli incarcerati; ma purtroppo anch'egli si trovava nello stesso caso nostro, vale a dire che, dopo l'arresto del Nasi, era del tutto isolato.
Il suo segretario, Carbonaro anch'esso, il piccolo domino vestito da donna, non conosceva che lui. Tutto quello che poteva dire, era che se potevasi dar valore ad alcuni accenni avuti dal Nasi (e per lui si poteva), due personaggi, che egli nominò, tenevano cariche importanti nell'Ordine. Uno di loro era nei primi gradi della magistratura; l'altro era un forestiere, agente ufficiale di un piccolo principato di Germania.
Queste informazioni erano così vaghe, che lì per lì non sapevamo che cosa fare. La prudenza non fu mai la virtù dei giovani: quindi, dopo aver esitato un poco, ci risolvemmo alla prova. Delle due persone indicateci preferimmo tastare la seconda, e Cesare volle a tutti i costi pigliarsi la difficile impresa. Si presentò adunque a casa del diplomatico, e fu ammesso alla sua presenza.
Mentre si scusava con lui della visita importuna, non cessò mai di ripetere tutti i segni di riconoscimento, ai quali l'altro non badò né punto né poco. Allora entrò direttamente in discorso. Ma alle prime parole il vecchio diplomatico lo interruppe, dicendogli che sarebbe stato suo dovere chiamare la guardia per farlo arrestare e tradurre in prigione: e che se non lo faceva, era per un riguardo alla onorevole famiglia, alla quale Cesare apparteneva: e al tempo stesso additò la porta.
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