La risolutezza del nostro amico, l'attività della sua anima avevano avuto sopra di noi, senza che ce ne accorgessimo, un'efficacia vivificante, e avevano destata tutta la nostra energia.
Quello stimolo ora non c'era più, per cui eravamo rimasti come dimezzati. Cesare ed io, gli amici prediletti di Fantasio, non eravamo i soli che provassimo questa specie di sfinimento morale, onde sembra che la vita non abbia più uno scopo: Alfredo, il Principe, lo Sforza (reso ormai alla libertà), in una parola, tutta la cerchia dei nostri comuni amici, provavano lo stesso che noi; e nonostante la raccomandazione di Fantasio di tener vivo il fuoco sacro, l'opera di propagare le idee di libertà, in cui fino allora ci eravamo occupati, pareva sospesa; quasi che ciascuno di noi avesse detto a sé stesso: a che tutto questo, se Fantasio non è più con noi?
Il viaggiatore forzato scriveva regolarmente ai genitori, i quali ci davano sempre le sue nuove. Egli stava bene di salute e di animo.
In ciascuna sua lettera c'erano espressioni affettuose pei "due fratelli" come ci chiamava, ma nessuna diretta comunicazione. Nell'ultima diceva di aver viaggiato per la Svizzera, di esser rimasto colpito dalla grandiosa bellezza di quel paese; aggiungeva poi che subito sarebbe andato a Parigi.
In tutto quell'inverno, e per il cattivo tempo e per la prigionia di Fantasio, non avevo più veduto Lilla; e tornata la buona stagione, ella aveva sempre vegliato al capezzale di una vecchia zia gravemente ammalata.
Questa andava pazza per la nipote, e non poteva rimaner priva, anche un solo istante, della compagnia di lei.
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