In una parola, era giunto a tale; da essermi potuto ridurre in quella tal quale tranquillità d'animo, in quella mesta e grave quiete, che nasce dalla stessa disperazione, e che si acquista al caro prezzo della perdita d'illusioni da tanto tempo accarezzate; quando una lettera di Lilla, dopo più di due mesi di silenzio, giunse fino a me, e mi pose tutto sossopra.
Il carattere della sopraccarta era stato sì abilmente alterato, che la stessa Santina non lo riconobbe, e mi consegnò la lettera. L'apersi senza il minimo sospetto, ed ebbi la debolezza di leggerla. Lilla mi trattava con arroganza. Si diceva indignata di quel che ella chiamava mancanza di educazione e di buona creanza. Mi aveva lasciato abbastanza tempo per riflettere: ma poiché tutto era riuscito inutile, doveva, una volta per sempre, dirmi tutto quello che aveva nel cuore. E perché la lettera potesse giungere nelle mie mani era stata costretta di ricorrere ad uno stratagemma: per altro potevo starmene sicuro, perché non mi avrebbe importunato più. Ecco quanto voleva dirmi: che lei non era così balorda da farmi illudere dal pretesto ch'io avevo preso per lasciarla; che da molto tempo si era accorta ch'io pensavo di rompere ogni relazione con lei, che io era pienamente libero di farlo, e che lei procurerebbe di consolarsene; ma che doveva alla dignità sua il farmi sentire che la maniera da me usata nel romperla seco era vile, codarda, odiosa, indegna d'una persona per bene, ecc. La lettera finiva con una coperta allusione ai miei amori, nel quali mi augurava ogni felicità.
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Lilla Santina
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