Pareva che avessero dimenticato (sia detto a loro lode) che nella condotta del principe dopo il 1821 v'erano delle macchie scure, ricordandosi soltanto che nel nome di Carlo Alberto, allora Reggente, in quell'anno memorabile ebbe principio nel Piemonte la libertà statuale, sebbene di corta durata. Ma siccome il tempo passava senza recare alcun miglioramento nel viver civile, e siccome continuava sempre l'onnipotenza dei Gesuiti, e non era stato concesso neanche il perdono ai vecchi compagni del principe nel moto costituzionale, così negli animi era avvenuta una mutazione, e il dispetto era eccessivo, come eccessive erano state innanzi le speranze.
Con ciò si spiega perché il principio repubblicano fosse tanto facilmente accolto dalla nascente associazione. Ma tutti coloro che lo accettarono, non erano repubblicani convinti.
Al contrario, non pochi tra loro avrebbero preferita a una repubblica la monarchia rappresentativa; e se accettavano la prima, non era altro che il sentimento dell'impossibilità di far valere tutt'altra forma di governo. Altri poi, non si curavano che di conseguire il gran bene della indipendenza d'Italia, e per esso erano pronti ad accomodarsi a qualunque specie di reggimento. Di qui si può agevolmente capire come avvenne che, quando Carlo Alberto concesse nel 1848 lo Statuto, e la ruppe apertamente con l'Austria, quanto rimaneva di quell'associazione si dividesse in due parti: l'una, composta di quegli uomini che ho detto, si raccogliesse sotto il vessillo del re costituzionale, il campione dell'indipendenza italiana; l'altra, il partito repubblicano, si astenesse dal partecipare al movimento, o vi si dichiarasse contraria perché promosso e capitanato da un re.
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