Quello che mi faceva desiderare di non scontrarmi con Anastasio, era appunto la mancanza di qualunque sufficiente motivo.
Non mi riusciva neanche di scaldarmi il sangue contro quel pazzo, e molto meno potevo adattarmi all'idea di uccidere a sangue freddo un mio simile o di essere da lui ucciso.
Anastasio non mi aveva mai perdonata la parte che ebbi in collegio nella sua caduta e nella sua disgrazia. Fin da quel tempo, quante volte ci eravamo incontrati in istrada o in qualche pubblico luogo (in conversazione non mai), ci eravamo scambiate delle occhiate tutt'altro che amichevoli. Più tardi, tre o quattro anni dopo che fu uscito dal Collegio, avevo sentito dire che aveva perduto al giuoco una grossa somma, la quale non potendo pagare, era fuggito dallo Stato e, secondo le male lingue, aveva seguito la fortuna di una ballerina. Comunque si fosse, non avevo più sentito parlare di lui né in bene né in male fino a quella sera, vale a dire cinque anni interi dopo la sua sparizione, quando inaspettatamente lo incontrai in teatro, trasformato in Guardia del Corpo. Il lettore può quindi persuadersi che il suo fanciullesco risentimento contro di me aveva avuto tutto il tempo di sbollire.
La Guardia del Corpo si componeva dei bei pezzi di giovani, appartenenti a buone famiglie (non so capire come vi fosse stato ammesso quello scimmiotto d'Anastasio), le quali avevano il privilegio di far la guardia alla persona del re negli appartamenti reali. Come Corpo, la reputazione morale delle Guardie non era senza macchia, e v'erano padri e mariti che avevano il cattivo gusto di non permettere alle figliuole e alle mogli di frequentare le conversazioni, alle quali intervenivano quegli ufficiali privilegiati.
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