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      Ma in compenso si diceva che fossero i beniamini degli usurai e di quanti prestavano denaro: attaccabrighe, maneschi, molto prepotenti coi pacifici cittadini: tale era la comune opinione intorno a loro, fondata in gran parte sui fatti.
      Il mio soggiorno in Torino fu breve. Una quindicina di giorni bastò perché riuscissi felicemente nel doppio intento del mio viaggio. Mi venne fatto di comporre ogni differenza fra i membri del Comitato e di avere una lettera di presentazione per un giovane ufficiale di artiglieria, di stanza a Genova, che sarebbe stato un prezioso acquisto, se anche avesse meritato soltanto la metà delle lodi che se ne facevano. Tornai perciò tutto trionfante; ma il mio giubilo doveva essere ben presto smorzato.
      Appena giunto, Cesare mi prese a quattr'occhi e mi pregò con certa solennità che io gli raccontassi quello che era avvenuto tra Anastasio e me. Glielo dissi. Cesare allora mi raccontò come Anastasio andasse dicendo da per tutto, che egli mi aveva sfidato e che io mi ero ricusato; insomma, che avevo paura. Bisognava o in un modo o in un altro finirla con queste ciarle e con le sue smargiassate. Lo Sforza e il Principe mi avrebbero più minutamente ragguagliato, e la sera stessa del mio arrivo sarebbero venuti da me a parlarmi di questa faccenda.
      E infatti vennero. Il Principe mi riferì tutto ciò che era stato detto in sua presenza in una conversazione in casa del conte Alberto: e le sue parole mi fecero bollire il sangue nelle vene. Anastasio aveva raccontato ciò che era accaduto tra noi un quindici giorni addietro, con tali abbellimenti che fecero rider molto alle mie spalle, specialmente la sorella del conte Alberto, e aveva finito con dire che, per mettermi un poco di coraggio mi avrebbe fustigato in pubblico.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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