Tornato che fu dopo le dieci facemmo un po' di cena, un po' di conversazione e fumammo un sigaro. Alla mezzanotte Cesare si ritirò nella sua camera; i miei due padrini russavano che era un amore. Il Principe sopra un sofà e lo Sforza sopra una poltrona, mentre io stando nel letto facevo questo soliloquio.
Com'è strano che questo stesso Anastasio, il quale mi fece perdere tanti sonni da ragazzo, ora, dopo la bellezza di dieci anni, debba venir fuori da capo a turbar di nuovo i miei sonni! Che un essere, come lui, moralmente inferiore a me possa e debba esercitare una specie d'influenza sul mio destino!
Inoltre, quanto è bizzarro che l'onore di un uomo possa essere a discrezione del primo che capita innanzi! Che un individuo, che tu hai incontrato a caso per via, sia padrone di appannare il tuo onore non lasciandoti altro modo per difenderlo che un duello! Che un birbante, un maniaco (sono fatti veri) si cacci quest'idea nel cervello, possa strapparti alle tue affezioni, ai tuoi affari, e farti anche deviare dalla strada del dovere, costringendoti ad ucciderlo o a farti uccidere!
Supponiamo che avessi parlato ad Anastasio così: "Il mio onore dipende, grazie a Dio, da quanto ne può dire o pensare un cialtrone come voi; per conseguenza non so vedere perché debba battermi per difendere una cosa che non corre alcun pericolo. Se vi è venuta a noia la vita, non tocca a me aiutarvi ad uscirne: andate ad impiccarvi da voi stesso!". In questo discorso non ci sarebbe stato del buon senso ed anche del coraggio, certamente; anzi ce ne sarebbe stato tanto, che non avrei osato di farlo.
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