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      Se mi fossi posto un po' più di fianco come si usa nei duelli con la pistola, la ferita probabilmente sarebbe stata mortale; perciò fui debitore della vita alla mia inesperienza in tale faccenda. Fasciata la ferita, fui lasciato solo, secondo l'ordine del chirurgo; e Cesare andò a preparare mia madre, come meglio poté, alla quale dette sulle prime a credere che io avessi fatta una caduta, ma così leggera da non destare alcun timore.
      I primi tre giorni passarono assai bene, ma il quarto divenni inquieto e febbricitante e la ferita mi faceva molto male.
      C'era qualche cosa che non andava; la suppurazione era cominciata, e una seconda operazione si faceva necessaria per dilatarne l'apertura. Soffersi da capo dolori atrocissimi, ma mi sentii riavere, appena l'operazione fu finita. Ci furono poi altre complicazioni e molti alti e bassi. Come io fossi inquieto, fastidioso e con quanto tenero amore e pazienza mia madre, lo zio Giovanni, Cesare, Alfredo e Santina mi curassero, assistessero e confortassero, è appena possibile il dirlo. Per non fare una lunga storia, finalmente dopo ventitré giorni, che mi parvero interminabili, mi fu permesso d'alzarmi, però non più che per un'ora.
      Per la perdita del sangue, la febbre, i dolori e una dieta rigorosa (mangiavo appena e non avevo neanche l'ombra dell'appetito) ero caduto in un'estrema debolezza e m'ero ridotto uno scheletro. Mi fu raccomandata l'aria di campagna, e quindi, appena si poté fare con una certa sicurezza, fui messo in una portantina e mandato a San Secondo, dove mia madre mi aveva preceduto a fine di mettere ogni cosa in ordine, e dove sarei rimasto fino a che non mi fossi pienamente rimesso in salute.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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