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      Noi ci offrivamo di muoverci per primi, ma a patto che Torino seguisse il nostro esempio. Da ciò dipendeva la salute dell'Associazione.
      Passarono tre lunghi giorni. La mattina del quarto, avemmo un appuntamento col nostro amico della Polizia. Quel che ci riferì ci rimise il fiato in corpo. Ogni cosa camminava secondo il solito in quel dicastero; nessuno degli impiegati mostrava il più leggero segno di inquietudine o d'agitazione. Dell'affare de' due sergenti se ne parlava appena ed era giudicata una semplice rissa d'osteria. Così potemmo anche questa volta respirare liberamente.
      Il giorno dopo tornò il Principe con la notizia che i nostri amici di Torino ricusavano fortemente di muoversi per ora. A loro non faceva difetto la volontà, ma il potere. Il reggimento, sul quale contavano, era stato da poco surrogato da un altro. Nessuno, dicevano essi, poteva prevedere quale effetto avrebbe prodotto sulla capitale una rivolta vittoriosa a Genova. Se si fosse a loro presentata qualche bella occasione, non se la sarebbero lasciata scappare; ma stando le cose come stavano, non potevano in modo alcuno impegnarsi in un moto prematuro.
      Come ci rallegrammo, udendo ciò, per non aver nulla precipitato!
      Le cose andarono tranquillamente per qualche settimana, e per poco eravamo ricaduti in uno stato quasi di calma, quando una notte, verso le dodici, s'udì una violenta scampanellata alla nostra porta. Chi poteva essere a un'ora così tarda? Probabilmente qualcuno che non portava buone notizie; ma neppur l'ombra del sospetto ci corse in mente che la nostra sicurezza personale fosse in pericolo.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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