Voci sinistre gridavano sotto le finestre della loro prigione: "Uno de' vostri compagni è stato fucilato oggi; domani toccherà a voi". Quando le loro forze erano state così abbattute e la loro immaginazione fortemente esaltata, erano subito condotti all'esame, oppure si faceva entrare da essi una figliuola, una sorella od una madre piangente.
Qualche volta due amici erano messi in due celle contigue, permettendo loro di comunicare tra sé. Si lasciavano passare molti giorni, e intanto certi cenni di sinistro augurio sul destino, che sovrastava all'amico o al compagno di prigione, si lasciavano sfuggire con quello, nel quale si voleva far colpo. Qualche tempo dopo, la porta della cella vicina s'apriva con molto fracasso, si udiva un confuso calpestio seguito da un silenzio sepolcrale, e dopo qualche minuto una scarica di moschetti nel cortile delle prigioni. Con questi artifizi si estorcevano confessioni e rivelazioni spesso false.
Francesco Miglio, sergente dei Guastatori nel reggimento Guardie, aveva mandati a vuoto con la sua fermezza e presenza d'anima tutti i tentativi inquisitorii sperimentati contro di lui. Allora fu chiuso con un falso prigioniero, il quale gli confidò con le lagrime agli occhi la sua partecipazione alla setta, e lo stato di terrore in cui si trovava. Il Miglio ne sentì compassione, e nacque tra loro una certa amicizia. Pochi giorni dopo, il nuovo amico assicurò il Miglio che egli aveva modo di comunicare con qualche suo conoscente al di fuori. Il Miglio allora si lasciò indurre a confidargli un biglietto per uno dei suoi amici.
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