Gl'inseguitori quasi mi rasentarono, ma non fecero attenzione al mio nascondiglio. Aspettai pazientemente che si dileguasse anche l'ultima eco dei loro passi, e allora soltanto, avventurandomi a sbucar fuori cautamente, in poco più d'un minuto fui a casa, avendola presa un po' larga, ed entrai senza essere osservato.
Andai subito in camera di mia madre, non tralasciando mai di visitarla prima d'andare a letto, di parlare con lei delle cose della giornata. Da molto tempo l'ansia e la tristezza erano successe alla serenità, che allietava quell'ora; la quale però ci riusciva tanto cara nell'affanno, quanto era stata nella felicità. Come potevo dire alla mia povera madre che anche questo conforto le sarebbe rapito? Come prepararla a vedersi condurre in prigione un altro de' suoi figliuoli?
Non c'era, però, alcun rimedio; ed io dovevo esser testimone della sua ambascia. Il sorriso con cui mi ricevette mi tolse subito tutta la sforza che m'ero ingegnato di raccogliere intorno all'animo mio.
Non ricordo bene quel che dissi o quello che passò tra noi.
Chi può ricordare le parole tronche di così dolorosi momenti? Il cuore almeno di ogni madre intenderà le angoscie di quell'ora, e ne avrà compassione.
Mi si permetta di dire, con filiale orgoglio, che il carattere di mia madre non era un carattere comune. Era in lei una pietà così vera, così schietta, così umile, che ella stessa sapeva appena di averla. Il suo animo non indietreggiava mai innanzi ai sacrifici di tutti i giorni. Questa donna, dopo il primo sfogo di ambascia, sapeva benissimo come frenare le commozioni di un cuore così tenero, come non batté mai in petto di donna; e lo stesso fece anche in quella congiuntura.
| |
|