La sua voce mi pareva la voce d'un angiolo: che meraviglia dunque se ho imparato ad amarla? Bisognava che fossi senza cuore. So pur troppo che lui è un signore, e io sono una povera serva; ma che però? Chiunque io sia, posso servirlo ed amarlo. Tutto quello che chiedo, è di vederlo, sì di vederlo ogni giorno. Non è molto, ma è molto per me".
E di questo modo continuava, finché non le tornava l'accesso.
Profittai del primo momento di calma per tirare in disparte il Capitano e dirgli che non avrei potuto lasciare quella povera creatura in tale stato; ma che sarei partito il giorno dopo, se le circostanze me lo avessero permesso; che tenesse ogni cosa in pronto e tornasse da me sulla sera. Il Capitano non si oppose, e poco dopo si congedò. Allora m'avvicinai a Santina e le dissi che per il momento avevo deposto ogni pensiero di partenza, e anche per sempre se lei non avesse acconsentito.
Questo annunzio produsse su di lei un effetto istantaneo. A un tratto le sue fattezze, fin allora contratte dagli spasimi, si rilassarono. Non proferì parola, ma mi prese la mano, la baciò e mi fissò gli occhi in faccia in atto di ringraziarmi. Essendo cessato il parossismo, le facemmo alla meglio un lettuccio con seggiole e guanciali; e lei vi si stese, chiudendo gli occhi e piangendo sommessamente. Alla sorella che le domandò una o due volte perché piangesse, Santina rispose: "Lasciatemi piangere; mi fa bene; a poco alla volta diventerò più ragionevole".
Così continuò a piangere e a sonnecchiare, alzandosi di tratto in tratto per domandare: "È partito?
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