Non feci alcuna osservazione, né chiesi spiegazione alcuna, perché ero in quella condizione d'animo in cui si sente come un sollievo l'esser trattati alla pari di macchine o balle di mercanzia. Camminammo in silenzio fino a Sampierdarena: e quando il capitano si mise a sedere sulla spiaggia io non seguii l'esempio con la stessa letargica rassegnazione che avevo mostrato e provato verso ogni cosa fin dal momento che lasciai Genova. Nella mia mente s'affollavano e si succedevano incessanti pensieri, i quali mi rimangono tuttavia scolpiti nella memoria, ma che non posso significar con parole, simili a una moltitudine di facce che non si vedono passar in folla, ovvero che popolano i nostri sogni; le quali sono distintamente presenti al senso interiore, ma che, quando si tenta di ritirarle altrui, sfuggono tra le mani, come l'ombre che il fanciullo tenta di afferrare. Casa, patria, amici, tutte cose sì care, eppure sì distanti! Il terreno che io calcavo ancora e che pensavo aver lasciato per sempre mi bruciava sotto i piedi. Non v'era tregua, non v'era riposo per me, finché fossi in grembo alla mia terra natale: solo una voce di dolore echeggiava nell'anima mia, come vento che geme e sospira attraverso la foresta e annunzia la devastazione.
Da così tristi ed amari pensieri mi scosse il capitano per additarmi la barca che avevamo lasciata alla Lanterna dirimpetto a noi e assai vicina a terra, e con dentro una persona ritta in piedi, la quale ci faceva dei segnali. "Non c'è tempo da perdere" mi disse.
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Sampierdarena Genova Lanterna
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