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      Il dado era tratto: io ero proscritto, un uomo condannato a ramingare per l'ampio mondo, anzi la mia stessa vita e la libertà non erano più mie, ma di quegli uomini che mi vedevo dinanzi.
      Dominato da questo pensiero mi posi ad osservarli assai meglio che non avevo fatto fin lì. Oltre il capitano, vi erano due uomini ed il giovinetto che ho ricordato. Uno solo di questi individui fece su me una triste impressione; il giovinetto e uno dei due uomini avevano facce comuni, che non dicevano nulla; ma l'altro era tale da fermare l'attenzione anche in mezzo alla folla. Se ne stava sulla prima traversa e per conseguenza mi rimaneva proprio di faccia e molto vicino.
      Chi è che in uno o in altro momento della vita non abbia provato un grave e inesplicabile sconforto dinanzi a una persona veduta per la prima volta, sconforto provato prima d'avere avuto il tempo neanche di fare il più rapido esame del volto e delle maniere di lei? Chi non ha sentite quelle istintive ripugnanze, spesso così gagliarde da istupidire le facoltà della nostra mente, quando siamo costretti a rimanere per lungo tempo in compagnia di certe persone, sebbene si eviti ogni comunicazione o rapporto con esse?
      Questo accadde a me quando, riscossomi dai pensieri nei quali fino allora era stato assorto, cominciai ad esaminare i miei compagni, e il mio sguardo si fissò sopra quell'uomo. La sua fronte bassa e rientrante, i capelli rossi e ricciuti, la bocca su cui pareva cesellato un continuo ghigno, richiamavano alla mia memoria un bravo, personaggio d'un romanzo della signora Radcliffe: Il confessionale nero, che fu la delizia della mia fanciullezza.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





Radcliffe