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      Non avevamo veduto né parlato con nessuno, dacché avevo lasciato Sampierdarena.
      Quella gente sapeva che portavo con me una tentatrice quantità di oro; aveva già riscossa la metà della somma convenuta per quel viaggio, e sapeva altresì che al suo ritorno a Genova, andati dalla mia famiglia per riscuotere l'altra metà, quella non avrebbe osato di far minute ricerche intorno al mio destino, e secondo ogni probabilità sarebbero corsi degli anni prima che le cose fossero venute in chiaro.
      Ogni più piccolo accidente serviva ad accrescere quell'esaltazione nervosa. In poppa della barca v'era una grossa pietra, probabilmente per servire da zavorra. Appena il mio occhio cadde su di essa, mi figurai: quella pietra appesa al collo, un tuffo nell'acqua seguito da un sordo gorgoglio, e poi silenzio! Orribile! Orribile! L'acqua torna ad essere come prima, niente può attestare che lì fu commesso un delitto: finalmente dopo un giorno, una settimana o forse un mese, le onde rigettano sulla spiaggia un cadavere gonfiato, non riconoscibile neanche dalla stessa affettuosa madre. Una folla gli si accalca intorno, guardando con orrore e disgusto, che cosa? giacché quel terribile oggetto ha quasi perduta ogni traccia di effigie umana. Io vidi questa scena rappresentarsi dal principio alla fine innanzi a me con la più viva realtà. Non me ne risparmiai neanche la più piccola circostanza, ed era in essa una tetra affascinazione.
      Bisogna che confessi al lettore, come mi riesca assai difficile narrare con qualche ordine le rimembranze di quella notte terribile.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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