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      Due giorni passarono in questa vicenda di meditazione e di paura. Nel mio stato nulla ci poteva esser di più penoso che il non far niente. In una lotta vi è vita e speranza: ma è una cosa da morire quello star seduto da un giorno all'altro a contemplare la levata e il tramonto del sole; quel sentirsi ristagnar il sangue nelle vene, senza fare il più piccolo movimento per aiutarsi da per sé stesso, avvinto dalla ferrea catena della necessità. Un fatto, per altro, che non debbo tralasciare, e che fu tanto improvviso quanto disaggradevole, venne a rompere la monotonia di quella vita.
      Nelle ore pomeridiane del terzo giorno ero salito, secondo il solito, nella stanza di sopra, e mi ero messo al posto consueto, dirimpetto alla finestra, ma ad una certa distanza, per meglio godere la bella scena che mi stava dinanzi, senza che potessi esser veduto da alcuno. Le ore eran passate lentamente, il tempo del desinare era venuto, ma non si vedeva ancora nessuno. Aspettai un'ora e poi un'altra finché non ebbi più dubbio che il Dottore, per qualche sospetto, si fosse astenuto dal mandarmi la solita provvigione. Seppi dipoi che m'ero ingannato; perché era accaduta qualche cosa al portatore che non ricordo. Me ne tornai dunque in camera e mi distesi sul letto, sperando d'ingannar la fame dormendo. Difatti ero caduto in una specie d'assopimento, dal quale venne a riscuotermi un rumore simile al rombo d'una cannonata, e un momento dopo la stanza era così piena di polvere, che per poco non rimasi soffocato.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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