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      Sottomettermi era per me la regola; perciò mi distesi in terra, secondo l'ordine della mia guida, e mi lasciai coprir d'erba, di cespugli, di foglie secche, e in somma d'ogni altra cosa che gli venne alle mani. Fatto questo, Ercole mi lasciò in quella posizione molto nuova e non molto comoda, né eroica, né tale, per soprappiù, di potervi rimanere lungo tempo.
      Sulle prime ci stetti passabilmente; ma lascio immaginare il mio orrore, quando due uomini vennero a zappare lì presso a me. Io non ardivo di fare il più piccolo movimento, e tenevo sin anche il fiato per paura di richiamare la loro attenzione. Il suono delle zappe pareva avvicinarsi sempre più; temevo sempre che qualche colpo malaugurato riuscisse a scoprirmi ai loro sguardi meravigliati. Il mio corpo era veramente alla tortura, e l'animo non stava niente di meglio. La chiamata del dottor Palli dal Comandante, con le sue possibili conseguenze, occupava sola e del continuo la mia mente. Lo stato precario in cui mi trovavo, e la trepidazione per la mia salvezza si riducevano a un nulla dinanzi all'idea delle molestie e dei pericoli che avrei potuto cagionare all'amico.
      Questa specie di carcere duro continuò da mezzogiorno al tramonto. Finalmente, come Dio volle, dai passi dei due uomini, che andavano a mano a mano perdendosi, potei accorgermi che si ritiravano dal lavoro, fatto, a quanto mi parve, tutto attorno a me: ma passò qualche tempo prima che potessi trovare tanto coraggio da far capolino dal mio nascondiglio; era quasi buio, quando la gran figura d'Ercole ricomparve.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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