Tutto era pronto, e gli uomini e la barca mi aspettavano a Mentone, dove li avrei potuti raggiungere in un'ora andando per la strada maestra. Ma nei nostri calcoli ci eravamo dimenticati di tener conto del tempo e del vento; e come volle la mia stella maligna, si levò un forte libeccio, che soffiò furiosamente senza interruzione per tre giorni di fila. La mattina del quarto si chetò, ed Ercole mi disse che poi potremmo partire.
Per evitare qualunque pericolo che potesse nascere da un incontro fortuito, se io fossi vestito da signore, mi portò un cappello di paglia molto vecchio, una casacca di fustagno e un paio di calzoni che in origine dovevano essere stati bianchi, ma che allora erano d'un colore da non potersi dare ad intendere, e tutti toppe. Io dovevo passare per suo nipote, che andavo a Nizza a fare acquisto di pianticelle d'olivo, la qual cosa avrebbe data una ragione plausibile del nostro cammino attraverso al monte; poiché Ercole nella sua grande prudenza aveva pensato di lasciare la strada maestra più presto che fosse possibile, pigliando per una traversa assai più lunga, ma da preferirsi al mio caso. Partimmo sul mezzodì, e dopo un faticoso viaggio di nove ore giungemmo a Mentone. Sebbene fosse di sera, ci si vedeva sempre. Ercole mi disse che lo aspettassi in un piccolo uliveto presso alla spiaggia, e dopo avermi daccapo nascosto sotto certi cespugli, andò a vedere e a riconoscere se tutto fosse all'ordine.
Questa volta non dovetti aspettar molto, perché tornò quasi subito per dirmi che tutto era pronto e che gli uomini e la barca m'attendevano a pochi passi di distanza.
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