Corremmo adunque sulla spiaggia, e dopo pochi minuti ero in nave. Ma non ancora erano finite per me le disgrazie e i sinistri presagi; perché nella fretta del montare misi un piede in fallo e cascando dentro, ebbi la sventura di rompere una damigiana di vino, che quella gente aveva portato seco nella barca per proprio consumo. Una seconda volta, nell'atto d'imbarcare, sentii sonarmi all'orecchio queste parole: "Cattivo augurio, signore!". "Tutt'altro," gli rispose il compagno, "perché nei nostri posti si dice che quando si versa il vino è segno di buona fortuna".
Fui molto dolente di questa disgrazia, perché la perdita del vino non si poteva riparare in quel momento, e sapevo che quegli uomini ne avrebbero avuto bisogno durante il lungo tempo, che dovevano remare. Ma siccome non c'era rimedio, e il tempo stringeva, così Ercole sollecitava perché partissimo senza indugio. Mi congedai da quest'uomo, il quale, sebbene non conoscesse né me né i miei, pure mi aveva dimostrata tutta l'instancabile premura e devozione d'un amico. Il cuore mi batteva forte mentre stringevo la sua ruvida mano, lasciando in essa un segno, non de' miei sentimenti, e neanche una ricompensa di servigi; che non si comprano né si retribuiscono col denaro; ma per rifarlo almeno, poiché doveva guadagnarsi il pane giorno per giorno, del tempo che aveva dovuto perdere per cagion mia.
In questo breve racconto di una delle vicende più pericolose della mia vita, non posso che accennar di volo, all'indole delle diverse persone con le quali ebbi a che fare.
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Ercole
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