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      Questo, che fu il primo e il più grosso errore d'Annibale, fu altresì il primo respiro pe' Romani. Ritornati da quella gran costernazione, crebbero cuore scemando di forze, e i Cartaginesi crescendo di potenza perderono di vigore.
      Le cagioni di tutto questo male non furono più di due: la poca attenzione di Cartagine in accudire con le convenienti assistenze i felici successi delle sue armi in Italia, quando i Romani si affaticavano giorno e notte per riparare le loro perdite: e quella voglia scatenata che prese ad Annibale di terminar le fatiche prima della guerra.
      Gustato ch'egli ebbe del riposo, stette poco a venirgli la curiosità d'assaggiar le delizie, e ne fu preso tanto più facilmente quanto più gli giunsero nuove.
      Uno che sappia mescolare i piaceri alle applicazioni non ne diventa mai schiavo: gli lascia e gli ripiglia quando gli pare e piace, e in questa, dirò, abituale alternativa, vi trova più tosto un sollievo d'animo che una forza d'incanto capace di corromperlo. Non riesce già così a certi uomini austeri, che per un giramento di testa arrivano una volta a assaporare certi diletti. Impaniano subito a quel dolce, e pigliano in una somma aversione l'austerità della vita passata. Allora tutto quello che ai lor occhj avev'avuto l'aria amabile della virtù piglia un aspetto aspro et odioso. La natura, stracca di fatiche e d'incomodi, si lascia andare, e la mente che si crede guarita d'un antico male si rallegra tutta in se stessa d'aver fatto un gusto migliore.
      Questo è giusto quello che intravvenne ad Annibale e alla sua armata, la quale così come l'aveva imitato nelle sue fatiche stimò di poterlo imitare ancora nel suo rilassamento.


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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263

   





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