Pagina (20/263)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      Alessandro era così nemico di lasciar le cose imperfette, ch'ei durava a considerarle per imperfette anche dopo ch'ell'erano di là da finite. Ei non si contentò di voler veder la fine di quel grand'imperio: la sua ambizione lo spigne all'Indie, quando, per un caso de' più strani, egli è in stato di poter accordare il riposo con la gloria, e godersi in pace un mondo di conquiste. Scipione non pensò mai alla quiete insino ch'ei non ebbe assodato le cose de' Romani in Affrica.
      E la maggior lode che venga data a Cesare è ch'ei non stimava mai d'aver fatto nulla finchè gli rimaneva qualche cosa da fare.
     
     
      Nil actum reputans si quid superesset agendum.
     
      Quando io penso all'errore d'Annibale, mi vien subito in mente come nelle cose grandi non si valuta mai il suo giusto l'importanza d'una buona risoluzione. L'andar dritto a Roma dopo la battaglia di Canne importa subito la distruzione di Roma e la grandezza di Cartagine. Il non andarvi, con un po' di tempo, la distruzione di Cartagine e l'imperio di Roma.
      Io mi son trovato a' miei giorni a veder pigliare una risoluzione che, eseguita, era la rovina d'un grande stato, e che mutata per buona fortuna, ne fu la salute: e pur l'autore d'un consiglio così santo non ne ricavò la metà della riputazione che gli averebbe dato la disfatta di cinquecento cavalli o la presa d'un luogo di pochissima importanza. La ragione è che queste ultime cose fanno fracasso agli occhj e all'immaginazione d'ognuno: la finezza del giudizio il più delle volte se ne resta incognita, non arrivandovisi se non per via di riflessione, mestiero che non è da tutti.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263

   





Indie Romani Affrica Cesare Annibale Roma Canne Roma Cartagine Cartagine Roma