Quel ch'è disgrazia ha sempre a esser errore, e non arriva a giustificarsi se non con pochi: e così, che Annibale abbia saputo far la guerra meglio de' Romani, che i Romani abbiano vinto per aver avuto alle spalle l'ottimo provvedimento della lor Repubblica, e che egli si sia perduto per il disordine della sua, quanti sono che arrivino a intenderlo? Ma che Annibale sia stato disfatto da Scipione, e che da questo ne sia venuta la rovina di Cartagine, questo non solamente ognun l'intende, ma ognun lo vede, lo tocca, e su questo si forma il sentimento generale di tutte le nazioni del mondo. [Io per me direi che convenisse deferir molto ai giudizj universali, ma direi ancora che non potesse tornar mai se non bene il consultare ancora il giudizio proprio, o sia per disfarsi dei vecchj errori comunemente accreditati, o per corroborarsi col proprio sentimento nelle verità comunemente abbracciate. Ci vuole ancora una somma delicatezza in separare quel ch'è confuso, in conciliare quel che par si contradica, e in ritrovar delle differenze occulte in delle cose che talvolta paion la medesima. Così s'è venuto a formare un giudizio tanto giusto e tanto delicato dell'uno e dell'altro di questi due Generali, osservando come la severità d'Annibale era stata quella che aveva mantenuto la disciplina nella sua armata: che lontano dal suo paese, sempre senza danaro, spesso senza viveri, l'aveva fatto sussistere in un gran corpo d'armata composta di diverse nazioni, senza alcuna sedizione, senza ammutinamenti, e poco meno che senza reclami: al che si può aggiugnere che la di lui sola capacità potè sostener Cartagine contro Roma intanto che Cartagine si lasciava andar giù con la sua languidezza in applicare alle cose della guerra e con quella sua eterna avidità della pace che i Romani non le vollero mai accordare.
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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263 |
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