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      Per la Politica, non si può dire quanto di buonora cominciassero i Romani a internarsi nelle loro materie di stato, e come s'applicassero allo studio delle leggi e alle cose del governo; talmente che, senz'altra esperienza, con questa sola teorica si trovavano abili al maneggio degli affari di pace e di guerra. Delle belle lettere, poi, non ci può esser uomo di così poca lettura che non sappia quanto n'andassero matti: basti dire che in Roma era quasi diventato un annesso della qualità di Grande, l'aver in casa il suo Greco virtuoso, come per un formatore domestico dello spirito e della galanteria.
      Tra mille esempj che potrei addurre in prova del mio assunto, crederò di non sceglier male appoggiandomi al solo di Cesare.
      Di tutte le sette, prese per sua favorita quella d'Epicuro, come la più comoda e che s'affaceva più al suo genio e ai suoi diletti. E notate che in Roma v'erano due maniere di seguaci d'Epicuro; gli uni filosofavano all'ombra, e nel loro modo di vivere si tenevano stretti al senso letterale del precetto: gli altri, che non si sentivano virtù per una tanta austerità, si facevano dell'etichette particolari, secondo le quali si lasciavano andare a delle opinioni più tranquille. Or di questi secondi sono stati la maggior parte degli uomini più accreditati di quel tempo, i quali sapevano separar la persona dalla carica, e scompartir così bene la loro applicazione tra la Repubblica, tra sè e gli amici, che ognuno ci aveva il suo conto. A qual segno Cesare intendesse le materie di stato, e infin dove arrivassero i suoi lumi e la sua delicatezza, non credo che nessuno abbia di bisogno d'impararlo da me.


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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263

   





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