Ma qui fu tutto il popolo che sostenne la gloria di Roma. Qui il genio universale della nazione conservò la nazione. Il buon ordine, la fermezza, l'amor generale del pubblico bene, salvarono Roma in un tempo che ella andava a perdersi per l'imprudenza de' suoi Generali.
Dopo la battaglia di Canne, quando ogn'altro stato che quello della Repubblica sarebbe perito, in tutto l'universale non vi fu un'ombra di debolezza, non vi fu un pensiero che non andasse al ben pubblico.
Dal più alto al più basso correva ognuno a spogliarsi di quanto aveva, e non contenti di dare il superfluo con ilarità, conservavano il puro necessario con dispiacere. La maggior vanità, l'impoverir per lo stato; il maggior delitto, il ritenersi qualche cosa che gli avesse potuto servire. Se s'avevano a creare i magistrati, guarda che la gioventù, troppo confidente di se medesima, avesse dato il suo voto senza consultarne i più savj. Se mancavano i soldati, si dava con l'armi la libertà agli schiavi per far gente; e gli schiavi vedendosi liberi e come cittadini romani, sposavano subito i sentimenti de' loro padroni.
Queste sono di gran cose, ma ce n'è una che in genere di grandezza d'animo le passa tutte. Perchè, che nell'urgenza d'un pericolo grande e rovinoso nasca il cervello dove non è, questo alle volte si vede: come si vede ancora nascere in sussidio del pubblico la profusione dall'avarizia, quando per un interesse si crede che quello che si dà abbia a fruttare la conservazione di quello che si è e di quello che si ritiene.
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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263 |
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