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      Ma che in un estremo di questa sorta si pensi al di fuori quanto al di dentro, questo io non so se si sia veduto altrove che in Roma, e in Roma di quel tempo. In questo stato, quando io veggo i Romani mandar truppe in Sicilia e in Spagna con l'istesso vigore che contro Annibale: quando io gli veggo spartire i loro ultimi sforzi tra la difesa di Roma e la conservazione delle conquiste, nè far differenza tra una rovina totale dello stato e la minima diminuzione della gloria, stimando meglio il non essere assolutamente che il non esser padroni degli altri, confesso che la magnanimità di questo fatto opprime la mia immaginazione.
      È vero che il conservarsi è sempre necessario, ma l'esser necessario non toglie nè il merito, nè la gloria del modo. Io stimo ne' Romani il non esser debitori della loro salute che a lor medesimi. Il più che se ne possa dare alla fortuna, se pure non fu virtù questa ancora, fu l'aver mutato di massime dopo la guerra di Pirro, con aver addomesticata quella prima salvatichezza, e rincivilita quella vita così positiva e così nemica delle ricchezze, perchè altrimenti averebbono avuto male il modo di reggere a tanti nemici. Ci voleva pure che i cittadini avessero qualche cosa di più del loro zelo con che poter aiutar la Repubblica; altrimenti se ella non avesse avuto modo di soccorrere i Collegati si sarebbe trovata in isola, e i suoi Satrapi averebbono avuto bel raccomandarsi: sarebbe loro intravvenuto come a quel Console che, immaginandosi d'ispirar sentimenti di compassione ne' Deputati di Capoa, ispirò loro ardire di rivoltarsi.


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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
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