Annibale, il più delle volte senza viveri e senza danaro, si vedeva in necessità o di vincere o di perire. Al primo cattivo incontro, nessuna ripresa, ne' favorevoli, dimolti imbarazzi, l'unico capitale per tener in obbedienza tanta diversità di nazioni, il suo cervello. Si poteva dire che ella fosse più tosto l'armata d'Annibale che de' Cartaginesi, e che i soldati seguitassero più la fortuna del loro Generale che del loro Signore.
Per tener a segno questa gente: quando con le buone, quando con le cattive, caricando spesso quella sua severità naturale con un rigore accattato che dava nel crudele. Con quest'arte ei si faceva temer dai soldati con tenere un'esattissima disciplina, e rispettare dagli Ufiziali col suo merito e col suo valore. Vero è che in questo contegno ei non aveva molto a sforzar la natura, la quale portandolo per se stessa alla crudeltà gli faceva far per genio quello che averebbe avuto a far per ragione, trovandosi in contingenze tali che il fare altrimenti sarebbe stato la sua rovina.
Con tuttociò i suoi passi erano quasi sempre regolati da' suoi interessi. Quando bisognava, sapeva esser trattabile, e benefico ancora: in somma, l'esigenze degli affari prevalevano sempre alle inclinazioni del temperamento. Ai Romani faceva la guerra a tutto potere, ma i Collegati gli trattava con ogni sorta di cortesia; intento a distruggere i veri nemici, contento di guadagnar tutti gli altri; a rovescio di Pirro, che impiegava tutta la sua galanteria co' Romani, tutti i suoi sgarbi coi Collegati.
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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263 |
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