Quinto Fabio era un uomo prudente e bastantemente capace della guerra: il suo naturale lento e flemmatico suppliva in lui a una maggior sufficienza in un tempo che tutto consisteva nel risparmiare quelle poche forze che c'erano [e nello straccare Annibale in un paese dove aveva carestia di tutto, con un'armata composta di diverse nazioni, mal pagata e tutta ripiena di mali umori fermentati dalle cabale di Cartagine. Fabio in somma col temporeggiare salvò la Repubblica. Le legioni romane n'avevano tocche troppe per tornarsi a batter con brio, e un'altra stropicciata apriva le porte di Roma ai Cartaginesi.]Bisognava dunque rimettere il cuore in corpo al soldatino [a poco a poco; e andarlo guarendo dello spavento del nome d'Annibale e del mal augurio preso della fortuna di Roma per via di minuti vantaggi riportati in piccole scaramucce:] così Fabio [consumava Annibale e] vinceva insensibilmente senza avventurarsi a poter esser vinto.
Il Generale della Cavalleria fu Marco Minuzio: un uomo di valore, ma rotto, presontuoso e ignorante del suo mestiero. [Uno di quei bravi che trattano di pedante militare un Generale provido e risparmiatore di gente, che fa ogni cosa con regola, e che vuol la disciplina.] Costui s'era cacciato in testa che a non cancellar la vergogna del Tesino, del Trebbio e del Trasimeno con un'azione rumorosa, la Repubblica era perduta. Tant'è, ei voleva altura quando ci voleva prudenza, voleva far bella vista quando si giocava Roma.
Annibale non durò gran fatica a squadrar questi due differenti umori.
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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263 |
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