Presentò più volte la battaglia a Fabio, che non solamente non l'accettò, ma non lasciò mai uscire un fantaccino da' suoi trincieramenti. Minuzio non poteva star sotto a che i Cartaginesi facessero l'uomo addosso all'armata romana: gli pareva un'infamità il non si battere, e non rifiniva di dire della debolezza e della insensibilità del Dittatore.
Annibale, informato del parlar di Minuzio, per accrescere il falso concetto della fiacchezza e della pusillanimità di Fabio, va, e gli abbrucia sul viso il miglior paese d'Italia, se non per tirarlo a una battaglia, per discreditarlo, e gli riuscì questo secondo; anzi di più, arrivò a renderlo sospetto d'intelligenza seco, facendo rispettare attentissimamente tutte le sue tenute intanto che si desolava tutto il resto della campagna. Ma questo non è ancor tutto degli artifizj d'Annibale. Nell'istesso tempo ch'ei tira a mettere in terra la reputazione di Fabio, fa il possibile per mettere in cielo quella di Minuzio per vedere di fargli cadere in mano il comando delle legioni: ora fa le viste di temer lui, ora di disprezzar quell'altro.
Alle volte, dopo essersi impegnato in una piccola zuffa con Minuzio, si ritira il primo, lasciandolo con tanto di vantaggio quanto serva a dargli aura in Roma e a dargli animo e far del resto in migliore occasione. Finalmente tanto seppe fare per discreditare il Dittatore e per accreditare il General della Cavalleria, che, con esempio fino allora inaudito, fu diviso il comando dell'armata, e separati i due corpi; come se Roma fosse ridotta a ricever le sue istruzioni da Annibale.
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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263 |
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