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      E però, non bisogna che questo riguardo di non far perder tranquillità all'amico (che, torno a dire, bisogna averlo) vada poi alla superstizione, come se nell'aprircegli d'una cosa che ci affligge avessimo un disegno formato d'affligger lui. Questo non può essere in nessun modo, perchè sarebbe appunto un fare a rovescio di quello che noi vogliamo, che è sollevarci, e sarebbe un raddoppiarci il nostro dolore col ritorno del suo. La verità si è che noi in questi casi cerchiamo di far bene a noi, e per consenso anche a lui. La prima cosa, una certa sua maggiore assiduità ci consola: quando ei non facesse altro che cercar di confortarci, quest'istesso è assai: e quel gusto che abbiamo in fargli vedere quanto è grande la nostra fiducia in lui ci slarga talmente il cuore che quell'altro, che se n'avvede, tanto manca ch'ei si creda obbligato ad associarsi alla nostra amarezza, che si sente slargare anche il suo.
      Queste due attenzioni, servirsi dell'amico con discretezza e servirlo con discrizione, formano tutta la sicurezza e tutto il godimento della più perfetta unione. Nè la pratica è gran cosa difficile a quelli che la vogliono intendere: le misure non sono di nessuna suggezione, e il durarla non stracca nè punto nè poco; anzi, a esserci bene esatto, viene a contrarsi un abito d'una franchezza così manierosa, e s'impara a distinguer così per sottile la generosità della tenerezza dalla gretteria dell'amor proprio, che dove non ci si mescoli nè instabilità di cuore nè leggerezza di cervello, uno non ci s'inganna quasi mai.


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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263