Ma forse in questo ci si mescolò la gloria e il dritto dell'armi, considerando costui ancora per una spoglia di Dario.
Il mangiare in conversazione, che Alessandro ne fu tanto vago, a Cesare fu indifferente. Non è già per questo che quando era tempo di travagliare e d'agire, Alessandro non fosse sobrio e anche di facile contentatura: ma fuori di quell'occasione, la tranquillità gli pareva insipida s'ei non la condiva con qualche cosa, dirò, di piccante.
Nel dare, l'uno e l'altro profusissimo; ma Cesare meno a caso assai. Le sue larghezze al popolo, le sue spese così temerarie nella Magistratura dell'Edilità, i suoi donativi a Curione, meritano più tosto nome di corruzioni che di vere liberalità. Alessandro dava per mera grandezza d'animo e per far del bene. Quando fu per passare in Asia, repartì tutti i suoi dominj, e spogliandosi d'ogni suo avere non si ritenne altro che la speranza delle conquiste o la resoluzione di perdersi. Subito ch'ei si vedde padrone dell'Oriente, e ch'ei crede' di non poter quasi aver più di bisogno di nessuno, pagò i debiti di tutta l'armata, i Pittori, gli Scultori, i Musici, i Poeti, i Filosofi, non ci fu nessun valentuomo bisognoso che non s'accorgesse della sua nuova grandezza. Non dico già che Cesare non fosse anche per natura liberalissimo; ma come quello che pensava a farsi grande gli bisognava praticar la liberalità con elezione e misura: e appena fu padrone dell'Imperio, che gli fu tolto l'Imperio e la vita.
Delle amicizie come quella che ebbe Alessandro con Efestione, e delle confidenze come quella che egli ebbe con Cratero, in Cesare non ne veggo.
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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263 |
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