Un'altra cosa mi par osservabile nell'Eneide. Che gli Dij non par che lascino altro campo franco a quest'Eroe che quel delle lacrime. Si sodisfaccia pur Enea in raccontar pateticamente quanto gli piace la destruzione di Troia, nessun di loro si piglia pensiero di contargli i sospiri: ma se s'ha a pigliare una risoluzione grande o a eseguire un'impresa difficile, guarda che gli Dij si fidino nè della sua capacità nè del suo valore: voi gli vedete subito mettersi a far quasi sempre di lor mano quel che per ordinario tutti gli uomini grandi sogliono cominciare e finir da sè.
Io non son così addietro che io non sappia che il poema epico vuole gli Dij interessati nel negozio. Ma non bisogna farvegli apparire così gran faccendieri che la loro onnipotenza affoghi la virtù dell'eroe; chè se è troppo presontuoso quell'eroe che vuol fare ogni cosa da sè in barba degli Dij, è troppo servizievole quel Dio che per far parimente ogni cosa da sè fa sparir l'eroe.
Nessuno ha inteso la giusta dose dell'assistenza degli Dij e della virtù degli uomini grandi meglio di Longino. Trovandosi Aiace, dice [il] delicatissimo scrittore, in un fierissimo conflitto di notte, voi non lo sentite raccomandarsi a Giove perch'ei lo scampi da quel pericolo: ciò sarebbe indegno del suo coraggio: nè meno gli chiede reclute di forze soprannaturali per assicurarsi di vincere, perchè così gli resterebbe poca parte nella vittoria. Gli chiede solamente tanto lume da poter vedere il fatto suo e da poter metter in opera il suo valore contro i nemici, da lucem ut videam.
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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263 |
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