Contro l'opinione di Livio su la guerraimmaginaria ch'ei fa far da Alessandro ai Romani
Io sto a vedere come mai Tito Livio possa andar tant'oltre con la stima di quei primi Romani, e non mi so dar pace che un uomo così sensato abbia voluto andar a ricercare un'idea così lontana dal suo assunto per discorrer così poco a proposito su la guerra immaginaria nella quale impegna Alessandro facendolo calare in Italia con quelle poche forze ch'ei vi poteva condurre, quando per ancora non er'altro che un povero Re di Macedonia.
Se non altro, aveva pure a ricordarsi, Livio, che un Generale de' Cartaginesi non s'era messo a passar l'Alpi con minor armata che d'ottantamila combattenti.
Ma questo non è nè anche tutto. Ei non la guarda a dare a Papirio Cursore, e a tutti gli altri Consoli di quel tempo, un'intelligenza della guerra uguale a quella d'Alessandro, tuttochè, come ognuno può vedere, non l'avessero se non limitatissima. Tra l'altre, i Romani non si sapevano servir della cavalleria: e che sia 'l vero, nel caldo dell'azione la facevano metter piede a terra, contentandosi di tener lesti i cavalli per rimontarla solamente quando il nemico cominciava a esser in disordine, per dargli alla coda. Certa cosa è che il lor forte era nell'infanteria, e avevano per bagattella ogni operazione che potesse farsi a cavallo. Sopra tutto le legioni, insino alla guerra di Pirro, ebbero in somma disistima la cavalleria nemica; allora però quella di Tessaglia cominciò a guarirgli di questa malinconia, e poi quella d'Annibale terminò la cura: e così felicemente che quelle legioni così invitte furono vedute guardarsi da ogni piccola pianura come dal fuoco.
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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263 |
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