Non dico già che noi altri non potessimo arrivarci, ma bisognerebbe internarsi nelle cose un tantino più di quello che noi facciamo. Vero è che quanto è difficile a noi l'entrarci, altrettanto è difficile agl'Inglesi l'uscirne, riuscendo loro il farsi più padroni della cosa su la quale pigliano a pensare, che del loro pensiero medesimo: penetrato a fondo l'oggetto, incapaci di fermar la loro penetrativa, badando a scavare e scavare, quando non c'è più da trovar nulla, e così per andar troppo a fondo bisogna per necessità che si trovino fuori di quella giustezza e naturalezza d'idea che n'avevano a formar per sè e dare agli altri.
Bisogna però che io dica che io non ho trovato gente di migliore intendimento de' Franzesi, che si contentano di riflettere, e degl'Inglesi, che son padroni di far fine al troppo ruminare. E per ritornare alla facilità del discorso e a una certa libertà di spirito che, se possibil fosse, bisognerebbe poter ritener sempre, dico che i più garbati uomini di questo mondo sono i franzesi che pensano, e gl'Inglesi che parlano. Ma io a poco a poco mi perderei in riflessioni troppo generali: meglio è che, ristrignendomi alla Commedia, faccia osservare una differenza notabile che è tra la nostra e la loro.
Noi, tutti attaccati alla regolarità degli antichi, tiriamo ogni cosa all'unità d'un'azione principale, e tutta la varietà è ne' mezzi del condurvisi.
E veramente, nella Tragedia, bisogna andar d'accordo che un solo avvenimento principale abbia a esser lo scopo e l'intento di tutti gli altri: altrimenti lo spirito, distratto dalla sua fissazione, patirebbe qualche sorta di violenza.
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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263 |
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