Luigi, dunque, dopo che ebbe inteso M. Niert, Ilario e Varennuccia, non poteva più sentir cantare ariette a Italiani: e questo non lo disse solamente insino ch'ei stette alla Corte di Francia per ingrazianarsi, o come taluno potrebbe dubitare, per minchionarci; durò a dirlo altamente in Roma finch'ei visse, tanto ch'ei si fece malvolere da tutti i Musici italiani, nè aveva mai altro in bocca, arie italiane in bocca franzese. Quanto all'altre nostre cantate, da quelle di Beausset (sic) in fuori, che sole gli parvero maravigliose, non ne fece gran caso. Non già così de' nostri violoni, de' nostri liuti, de' nostri buonaccordi e de' nostri organi ancora, che lo fecero restare. Insino il doppio delle campane di S. Germano des Prez, la prima volta che le sentì l'ebbero a far trasecolare: pensate quel che averebbe detto de' nostri concerti di flauti, se in quel tempo ce ne fossero stati! Il certo è che, assaporato ch'egli ebbe la delicatezza del nostro toccare, non pote' più sentire la ruvidezza e la durezza de' primi virtuosi d'Italia.
Ma io parzialeggerei un poco troppo se non facessi vedere se non il dritto della nostra medaglia: diamone un'occhiatina anche da rovescio. Io non credo che si possano trovar cantori di comprensiva più lenta de' nostri, o vogliate per il semplice suono delle parole, o vogliate per internarsi in quello che ha preteso il Compositore. Oltre all'aver quasi tutti una fierissima inimicizia con la prosodia, hanno a stentar come bracchi nello scalpite. Ma superate una volta a forza di schiena queste difficoltà, e resi padroni di quello che hanno a cantare, io mi rido che ci sia chi gli agguaglj in quella buona grazia, in quella buona avvenenza, a mille leghe.
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Opere slegate
di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond
pagine 263 |
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