— Strana creatura — mormorò Sandokan, comprimendosi colle mani la fronte.
— E così?... — chiese Yanez.
Il pirata non rispose. Si era bruscamente alzato in preda ad una viva emozione e si era portato dinanzi all'armonium, facendo scorrere le dita sui tasti.
Yanez si limitò a sorridere e, staccata da un chiodo una vecchia mandola, si mise a pizzicarne le corde, dicendo:
— Sta bene! Facciamo un po' di musica.
Aveva però appena cominciato a suonare un'arietta portoghese, allorquando vide Sandokan avvicinarsi bruscamente al tavolo, puntandovi sopra le mani con tale violenza da farlo piegare.
Non era più lo stesso uomo di prima: la sua fronte era burrascosamente aggrottata, i suoi occhi mandavano cupi lampi, le sue labbra, ritiratesi, mostravano i denti convulsamente stretti, le sue membra fremevano. In quel momento egli era il formidabile capo dei feroci pirati di Mompracem, era l'uomo che da dieci anni insanguinava le coste della Malesia, l'uomo che per ogni dove aveva dato terribili battaglie, l'uomo la cui straordinaria audacia, l'indomito coraggio gli avevano valso il nomignolo di Tigre della Malesia.
— Yanez! — esclamò egli con un tono di voce, che più nulla aveva d'umano. — Che cosa fanno gl'inglesi a Labuan?
— Si fortificano — rispose tranquillamente l'europeo.
— Forse che tramano qualche cosa contro di me?
— Lo credo.
— Ah! Tu lo credi? Che osino alzare un dito contro la mia Mompracem! Di' a loro che si provino a sfidare i pirati nei loro covi! La Tigre li distruggerà fino all'ultimo e berrà tutto il loro sangue.
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