Dalla spiaggia si alzò un immenso grido.
— Evviva la Tigre della Malesia!
— Partiamo — comandò il pirata, volgendosi ai due equipaggi.
Le ancore vennero salpate da due squadre di demoni color verde-oliva o giallo-sporco e i due legni, fatte due bordate, si slanciarono in pieno mare, beccheggiando sulle azzurre onde del mar Malese.
— La rotta? — chiese Sabau a Sandokan, che aveva preso il comando del legno maggiore.
— Diritti alle isole Romades — rispose il capo. Poi, volgendosi verso gli equipaggi, gridò:
— Tigrotti, aprite bene gli occhi; abbiamo una giunca da saccheggiare.
Il vento era buono, soffiando dal sud-ovest, e il mare, appena mosso non opponeva resistenza alla corsa dei due legni, i quali in breve raggiunsero una celerità superiore ai dodici nodi, velocità veramente non comune ai bastimenti a vela, ma niente straordinaria pei legni malesi, che portano vele immense e hanno scafi strettissimi e leggeri.
I due legni, coi quali la Tigre stava per intraprendere l'audace spedizione, non erano due veri prahos i quali ordinariamente sono piccoli e sprovvisti di ponte. Sandokan e Yanez, che in fatto di cose di mare non avevano di eguali in tutta la Malesia, avevano modificati tutti i loro velieri, onde affrontare vantaggiosamente le navi che inseguivano.
Avevano conservato le immense vele, la cui lunghezza toccava i quaranta metri e così pure gli alberi grossi, ma dotati di una certa elasticità e le manovre di fibre di gamuti e di rotang, più resistenti delle funi e più facili a trovarsi, ma avevano dato agli scafi maggiori dimensioni, alla carena forme più svelte e alla prua una solidità a tutta prova.
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