Poi si strappò dal collo una fila di diamanti del valore di tre o quattrocentomila lire e, porgendola al capitano della giunca, disse:
— Prendi, mio valoroso. Mi rincresce di averti malmenato la giunca che tu hai così bene difesa, ma potrai con questi diamanti comperartene dieci di nuove.
— Ma chi siete, voi? — chiese il capitano, stupito.
Sandokan gli si avvicinò e, posandogli le mani sulle spalle, gli disse:
— Guardami in viso: io sono la Tigre della Malesia.
Poi, prima che il capitano e i suoi marinai potessero riaversi dal loro sbalordimento e dal loro terrore, Sandokan e i pirati erano ridiscesi nei loro legni.
— La rotta? — chiese Patan.
La Tigre stese il braccio verso l'est, poi, con voce metallica, nella quale sentivasi una grande vibrazione, gridò:
— Tigrotti, a Labuan! a Labuan!
L'INCROCIATOREAbbandonata la disalberata e sdruscita giunca, la quale però non correva pericolo di affondare, almeno pel momento, i due legni da preda ripresero la corsa verso Labuan, l'isola abitata da quella fanciulla dai capelli d'oro, che Sandokan voleva ad ogni costo vedere.
Il vento si manteneva al nord-ovest e assai fresco ed il mare era ancora tranquillo, favorendo la corsa dei due prahos, i quali filavano dieci od undici nodi all'ora. Sandokan dopo di aver fatto ripulire il ponte, riannodare le manovre tagliate dalle palle nemiche, gettare in mare il cadavere del Ragno e di un altro pirata ucciso da una fucilata, e caricare i fucili e le spingarde, accese uno splendido narghilè proveniente senza dubbio da qualche bazar indiano o persiano, e chiamò Patan.
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