Avevano appena allora fondata una cittadella alla quale avevano dato il nome di Vittoria, munendola di alcuni fortini per impedire che venisse distrutta dai pirati di Mompracem, che parecchie volte ne avevano devastate le coste. Il resto dell'isola era ricoperto di fitti boschi popolati ancora di tigri, e solo rare fattorie erano state fondate sulle alture o nelle praterie.
I due prahos, dopo aver costeggiato per alcune miglia l'isola, si cacciarono silenziosamente in un piccolo fiumicello, le cui rive erano coperte da una ricchissima vegetazione, e lo salirono per sei o settecento metri ancorandosi sotto l'oscura ombra di grandi alberi.
Un incrociatore che avesse battuta la costa, non sarebbe riuscito a scoprirli, né avrebbe mai potuto sospettare la presenza di quei tigrotti, imboscati come le tigri delle Sunderbunds indiane.
A mezzodì, Sandokan, dopo di aver mandato due uomini alla foce del fiumicello e due altri nelle foreste, per non venire sorpreso, armatosi della sua carabina, sbarcava, seguito da Patan.
Aveva percorso circa un chilometro inoltrandosi nella fitta foresta, quando si arrestò bruscamente ai piedi di un colossale durion, le cui frutta deliziose, irte di punte durissime, si agitavano sotto i colpi di becco di uno stormo di tucani.
— Avete veduto qualche uomo? — chiese Patan.
— No, ascolta — rispose Sandokan.
Il malese tese l'orecchio e udì un lontano abbaiare.
— È qualcuno che caccia — disse rialzandosi.
— Andiamo a vedere.
Ripresero il cammino cacciandosi sotto le piante di pepe, i cui rami erano carichi di grappoli rossi, sotto gli artocarpi o alberi del pane e gli arenga, fra le cui foglie svolazzavano dei battaglioni di lucertole volanti.
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