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      Con un fischio chiamò i suoi uomini in coperta.
      — Presto, gettate una barricata dinanzi ai cannoni e poi avanti!
      In un baleno, a prua dei due legni furono accumulati alberi di ricambio, botti piene di palle, vecchi cannoni smontati, e rottami d'ogni sorta, formando una solida barricata. Venti uomini, i più robusti, ridiscesero per manovrare i remi, ma gli altri si affollarono dietro alle barricate colle mani raggrinzate attorno alle carabine e i denti stretti sui pugnali che scintillavano fra le frementi labbra.
      — Avanti! — comandò la Tigre.
      L'incrociatore aveva arrestato la sua marcia retrograda e ora si avanzava a piccolo vapore, vomitando torrenti di fumo nero.
      — Fuoco a volontà — gridò la Tigre.
      Da ambe le parti si riprese la musica infernale, rispondendo colpo per colpo, palla per palla, mitraglia contro mitraglia.
      I tre legni, decisi a soccombere, ma non a retrocedere, non si scorgevano quasi più, avvolti come erano da immense nuvole di fumo che una calma ostinata manteneva sopra i ponti, ma ruggivano con egual furore e i lampi si succedevano ai lampi e le detonazioni alle detonazioni.
      Il vascello aveva il vantaggio della sua mole e delle sue artiglierie, ma i due prahos, che la valorosa Tigre conduceva all'abbordaggio, non cedevano. Rasi come pontoni, forati in cento luoghi, sdrusciti, irriconoscibili, già coll'acqua nella stiva, già pieni di morti e di feriti, continuavano a tirare innanzi, malgrado il continuo tempestare di palle.
      Il delirio si era impadronito di quegli uomini e tutti altro non chiedevano che di salire sul ponte di quel formidabile vascello e, se non di vincere, almeno di morire sul campo del nemico.


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Le Tigri di Mompracem
di Emilio Salgari
pagine 343

   





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