Ormai non era più possibile lottare con quel nemico che, approfittando della sua macchina, evitava ogni abbordaggio. Sandokan però non voleva ancora cedere.
Rovesciando con una irresistibile spinta gli uomini che lo circondavano si curvò sul cannone che era stato caricato, corresse la mira e vi diede fuoco. Pochi secondi dopo l'albero di maestra dell'incrociatore, sparato alla base, precipitava in mare assieme a tutti i bersaglieri delle coffe e delle crocette. Mentre il vascello si arrestava per salvare i suoi uomini che stavano per affogare e sospendeva il fuoco, Sandokan approfittava per imbarcare sul proprio legno l'equipaggio di Giro-Batol.
— Ed ora, alla costa e di volata! — tuonò.
Il praho di Giro-Batol, che si manteneva a galla per un vero prodigio, fu subito sgombrato ed abbandonato alle onde col suo carico di cadaveri e col suo pezzo d'artiglieria ormai inservibile.
Subito i pirati misero mano ai remi ed approfittando dell'inazione del vascello da guerra, s'allontanarono in fretta rifugiandosi nel fiumicello. Era tempo! Il povero legno, che faceva acqua da tutte le parti, non ostante i tappi cacciati frettolosamente nei fori aperti dalle palle dell'incrociatore, affondava lentamente.
Gemeva come un moribondo sotto il peso del liquido invasore e traballava, tendendo ad inchinarsi a babordo.
Sandokan, che si era messo alla barra del timone, lo diresse verso la sponda vicina e lo arenò su d'un banco di sabbia.
Appena i pirati s'accorsero che non correva più alcun pericolo di affondare, irruppero sulla tolda come un branco di tigri affamate, colle armi in pugno, i lineamenti contratti pel furore, pronti a ricominciare la lotta con egual ferocia e risoluzione.
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