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      L'esito finale, malgrado il valore disperato delle tigri di Mompracem, non doveva essere difficile ad indovinare.
      Tuttavia i pirati non si perdevano d'animo e bruciavano le loro cariche con mirabile rapidità, tentando di sterminare gli artiglieri della coperta e di abbattere i marinai delle manovre, sparando furiosamente sul cassero, sul castello di prora e sulle coffe.
      Due minuti dopo però il loro legno, oppresso dai tiri delle artiglierie nemiche, non era altro che un rottame.
      Gli alberi erano caduti, le murate erano state sfondate e perfino le barricate di tronchi d'albero non offrivano più riparo a quella tempesta di proiettili. L'acqua di già entrava dai numerosi squarci, inondando la stiva. Pure nessuno parlava di resa. Volevano morire tutti, ma lassù, sul ponte nemico. Le scariche intanto diventavano sempre più tremende. Il pezzo di Sabau era ormai stato smontato e mezzo equipaggio giaceva sulla tolda massacrato dalla mitraglia.
      Sandokan comprese che l'ultima ora stava per suonare per le tigri di Mompracem.
      La sconfitta era completa. Non era più possibile far fronte a quel gigante che vomitava ad ogni istante nembi di proiettili. Non rimaneva che tentare l'abbordaggio, una pazzia, poiché nemmeno sul ponte dell'incrociatore la vittoria poteva arridere a quei valorosi.
      Non restavano in piedi che dodici uomini, dodici tigri però guidate da un capo il cui valore era incredibile.
      — A me, miei prodi! — gridò egli.
      I dodici pirati, cogli occhi stravolti, schiumanti di rabbia, colle pugna chiuse come tenaglie attorno alle armi, facendosi scudo coi cadaveri dei compagni, gli si strinsero attorno.


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Le Tigri di Mompracem
di Emilio Salgari
pagine 343

   





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