— Odimi, Marianna — diss'egli, con accento selvaggio. — Vi è un uomo che impera su questo mare, che bagna le coste delle isole malesi, un uomo che è il flagello dei naviganti, che fa tremare le popolazioni, e il cui nome suona come una campana funebre. Hai tu udito parlare di Sandokan, soprannominato la Tigre della Malesia? Guardami in viso. La Tigre sono io!...
La giovanetta mandò involontariamente un grido d'orrore e si coperse il viso colle mani.
— Marianna! — esclamò il pirata, cadendo ai suoi piedi, colle braccia tese verso di lei. — Non respingermi, non spaventarti così! Fu la fatalità che mi fece diventare un pirata, come fu la fatalità che mi impose questo sanguinoso soprannome. Gli uomini della tua razza furono inesorabili con me, che pur non avevo fatto loro alcun male; furono essi che, dai gradini d'un trono mi precipitarono nel fango, che mi tolsero il regno, che mi assassinarono madre, fratelli e sorelle, e che mi spinsero su questi mari. Non sono pirata per avidità sono un giustiziere, il vendicatore della mia famiglia e del mio popolo, nulla di più. Ora, se lo credi, respingimi e io m'allontanerò per sempre da questi luoghi, onde non farti più paura.
— No, Sandokan, non ti respingo, perché ti amo troppo, perché tu sei prode, tu sei potente, tu sei tremendo, come gli uragani che sconvolgono gli oceani.
— Ah! tu m'ami ancora adunque? Dimmelo colle tue labbra, dimmelo ancora.
— Sì, t'amo Sandokan, e più ora che ieri.
Il pirata l'attirò a sé e se la strinse al petto. Una gioia sconfinata illuminava il suo maschio viso e su quelle labbra errava un sorriso di felicità sconfinata.
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