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      Era un cavalleggero del reggimento del Bengala.
      Pareva furibondo, poiché bestemmiava e maltrattava il cavallo spronandolo e tormentandolo con violente strappate.
      Giunto a cinquanta passi dalla macchia di banani, balzò agilmente in terra, legò il cavallo alla radice di una pianta, armò il moschetto e stette in ascolto, scrutando attentamente gli alberi vicini.
      — Per tutti i tuoni dell'universo! — esclamò. — Non sarà mica scomparso sottoterra!... In qualche luogo deve essere nascosto e vivaddio non sfuggirà la seconda volta al mio moschetto. So bene che ho da fare colla Tigre della Malesia, ma John Gibbis non ha paura. Se questo dannato cavallo non si fosse impennato, a quest'ora quel pirataccio non sarebbe più vivo.
      Il cavalleggero, così monologando, aveva sguainata la sciabola e s'era cacciato in una macchia di arecche e di cespugli, allontanando con prudenza i rami. Quegli alberi confinavano colla macchia dei banani, ma v'era da dubitare e he riuscisse a scovare il fuggiasco. E questi si era allontanato, strisciando attraverso le liane e le radici ed aveva trovato un nascondiglio tale da metterlo al sicuro da qualsiasi ricerca.
      Sandokan, che non aveva abbandonato i cespugli, invano aveva tentato di sapere dove quel malese si fosse celato. Per quanto si allungasse e guardasse sotto e sopra le grandi foglie, non riusciva a vederlo in alcun luogo. Però si guardava bene dal mettere il cavalleggero sulla buona via, temendo di tradire quel povero indigeno che si era fatto inseguire per colpa non sua.


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Le Tigri di Mompracem
di Emilio Salgari
pagine 343

   





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